Cairo nella storia della Liguria e della Nazione, di Piero Angelo Tognoli (1971)
Albero genealogico dei marchesi aleramici.
1080 - CONVENZIONE FRA IL POPOLO DI SAVONA E GLI UOMINI DI CAIRO STIPULATA ALLA PRESENZA DI AMICO VESCOVO DI SAVONA
Nel nome del Signor Nostro Gesù Cristo. Breve trattato e convenzione che fu fatta tra i Savonesi e gli abitanti di Cairo sia maggiori che minori che abiteranno i boschi dove i savonesi hanno giurisdizione per il pascolo dal monte fino al mare senza danno dei suddetti Savonesi e dei loro contadini e senza tasse e pedaggio.
E se capiterà che gli animali di quelli recheranno danno per la malvagità o per la negligenza dei pastori, i padroni delle bestie pagheranno i danni secondo l’uso dei vicini, se costoro ne avranno fatta richiesta entro otto giorni; e se per caso fosse successo che nell’arrecare danno qualche bestia, tranne un cavallo, un giumento, un bue, un asino fosse morta o uccisa e secondo l’uso del luogo non vi deve essere alcun risarcimento, si agisca secondo la giusta usanza.
E i suddetti uomini di Cairo e i suddetti Savonesi alla presenza di amico Vescovo di Savona si promisero a vicenda che in quei boschi non avrebbero fatto alcuna costruzione se non le abitazioni per i pastori ed i loro animali.
E se tra le loro bestie avevano preso o legato quelle degli altri non dovevano nasconderle con artifici o calcoli né dovevano impedire agli uomini di Savona di prendere la tassa secondo giustizia.
E se talvolta da qualsiasi parte in questi boschi si fossero introdotti degli animali, i soprannominati uomini di Cairo non devono proibire né incolpare i soprannominati Savonesi perché non vengano meno al patto né si oppongano a tagliare o ah costruire per loro utilità da quella parte del monte senza uno speciale comando del marchese che è loro padrone.
E similmente il passare oltre il giogo dalla loro parte senza tassa a meno che non sia, stato proibito dal loro marchese.
E gli stessi uomini di Cairo non faranno mai né in teoria né in pratica alcun progetto di fare qualche furto o incendio ai soprannominati Savonesi e ai loro contadini.
E se fosse insorta qualche guerra e lo fossero venuti a sapere o da se stessi o per mezzo di un messaggero dei Savonesi a motivo di una giusta fiducia li aiuteranno con la pace, l’amicizia l’incoraggiamento e con le armi tranne che contro la persona del loro marchese.
E se succedesse che qualcuno di loro fosse stato con il marchese per il loro danno poiché era dalla sua parte restituisca il danno a chi lo ha avuto.
E se i Savonesi avessero bisogno di aiuto e se lo avessero richiesto a Cairo direttamente o attraverso loro messaggeri per una giusta fedeltà li aiuteranno tranne che contro la persona del loro marchese.
In vero ambedue le parti tra di loro stabiliranno una pena affinché se gli uomini non faranno ciò che sopra è stato scritto o se lo faranno con negligenza e se entro quindici giorni avranno operato una correzione ne saranno stati richiesti senza impedimenti , o la concessione sia stata resa nulla dal servizio dei loro anziani e paghi cento libbre di denari pontifici.
E similmente se i Savonesi verranno meno alla sopraddetta concessione pagheranno la sopraddetta, pena in denaro.
Ciò è stato redatto nella casa del Vescovo di Savona nell’anno 1080 dalla incarnazione del Signore Nostro Gesù Cristo nel giorno otto del mese di maggio alla terza riunione.
Furono presenti Carlo Baldo, Alberto Rustico, Paolo M. Gastaldo, il prete Bonfanto, ovverosia Bonfanto Rinaldo, Giovanni Martino e altri uomini famosi .
Io Rodolfo Giudice del Sacro Palazzo lo feci e lo diedi.
1307 25 Settembre CONCESSIONE AGLI UOMINI DI CAIRO DI POTER TESTARE
Mentre erano riuniti gli uomini della città di Cairo Diocesi Albese nella Chiesa di S. Lorenzo del suddetto luogo e mentre era riunita la] popolazione del medesimo luogo per comando di Oddone Ughetto marchese Del Carretto e di Manfredino figlio del detto Signore Oddone.
Già i detti Signori Oddone, Ughetto e Manfredino per volontà e per autorità del detto loro padre attesa la buona volontà e i graditi servizi che detta, popolazione e detti uomini fecero a quelli che generosamente e benevolmente liberarono questa popolazione e tutti e i singoli uomini del suddetto luogo sia maschi che femmine per sé e per gli eredi e per i loro successori e tutti e i singoli uomini che stanno e abitano nella città di Cairo e possono e coloro che vi staranno per l’avvenire e abiteranno nella città anche di potere per sé e per i loro eredi e successori ....dal tutte e dalle singole successioni e dai diritti di succedere a coloro che si accordano per se e ai loro antecessori in qualunque Occasione o modo nei citati uomini sia maschi che femmine e nelle eredità e nei loro beni tanto passati quanto futuri e tanto trasmessi a loro quanto a qualcuno dei loro, quanto anche da trasmettersi e da tutte e dalle singole iscrizioni, adozioni, solenni adozioni e "acconsamentis", liberazioni e garanzie le quali e i quali i detti uomini ed in modo particolare tutti assieme e separatamente erano soliti o piuttosto sono soliti dare o mantenere o sciogliere da detti signori o da alcuni dei loro o piuttosto dai loro antecessori per alcune investiture o per le concessioni di alcune cose le quali facessero riguardo alle cose e alle eredità trasmesse a sé o da trasmettersi o riguardanti essi in occasione della successione e dell’eredità di qualche uomo di Cairo o riguardo al potere e di coloro che abiteranno in detto luogo e al potere o di qualche iscrizione adozione o solenne adozione in tale modo o forma perché gli uomini tutti e singoli sia maschi che femmine di detto luogo e potere e che stanno e che abitano in detto luogo e potere e coloro che per l’avvenire staranno e abiteranno in detto luogo e potere e gli eredi e i loro successori e (i successori) di qualunque di loro siano liberi sciolti e sinceri e così come cittadini Romani avessero avuto e fossero trattati e dalle singole successioni e dai diritti del succedere così perché i beni di loro tanto con testamento quanto senza testamento pervengano liberamente e perfettamente malgrado il discorso contrario di detti signori e degli eredi e degli stessi successori in qualunque persona secondo che ordinarono nei testamenti dei loro o nelle ultime volontà e senza testamento ai più prossimi figli in soprannumero o parenti di coloro che sono morti riguardi con pieno diritto secondo le norme comuni c!ovuncjue a qualcuno di loro sia toccato di morire, concedendo a quelli e a chiunque di loro per sé e per gli eredi e per i loro successori, i quali ricevono, libera ed assoluta capacità di testare e libertà e piena facoltà di prendere e di avere e di conseguire eredità completa e i beni dei morti senza testamento e anche i diritti di donazione a causa della morte e dei codicilli e dei testamenti dell’ultima volontà di chiunque altro, in quanto anche i giuramenti concedono o permettono malgrado qualche consuetudine addotta come pretesto nella città di Cairo o di poetere che i beni dei defunti senza figli maschi venissero trasferiti ai padroni e dagli stessi signori i beni e la successione dei defunti senza figli riguardavano i signori, la quale consuetudine detti signori per sé e per i loro eredi e per i loro successori annullano e suscitano e determinano che sia espressamente di nessuna importanza e di sicura scienza, facendo per sé e per gli eredi e per i loro successori a detti uomini sia maschi che femmine .... esenzione "quitationem" e patto di non chiedere per sempre riguardo alle successioni e al diritto di succedere e alle iscrizioni e adozioni ed anche solenni adozioni e "acconsamentis" e alla liberazione o alle garanzie di mantenere da dare e da sciogliere per detti signori o per i loro eredi e successori o per gli eredi dei loro antecessori o in occasione
di qualche diritto generale o speciale, decreto, ordinamento, consuetudine o statuto fatto o da farsi.
Testimone il signore Enrico templario marchese di Ponzone, il Signore vecchio Manfredino capo di Cairo, Nicola figlio dì Enrico di Ponzone.
Albero genealogico degli Scarampi
1553 - DECRETO CON IL QUALE FURONO ISTITUITI I MERCATI E LE FIERE IN CAIRO NEL SECOLO XVI
FRANCESCO 1o ETC.
Poiché tra gli altri beni feudali che sono riconosciuti a Noi e al nostro stato, il Sig. Antonio e i fratelli figli degli Scarampi e i loro eredi o fratelli Nicola e Ludovico discendenti da altro ramo degli Scarampi possiedono per titolo e per diritto due delle otto parti del castello e del territorio di Cairo della diocesi di Alba, tutti i soprannominati De Scarampi ci hanno fatto sapere che desiderano grandemente di far celebrare nel suddetto castello e territorio due fiere ogni anno, una nella ricorrenza della festa di S. Andrea, l’altra in quella di S. Lorenzo e inoltre .desiderano far celebrare un mercato in tutti i giorni di lunedì, giovedì e sabato di ogni settimana e che ciò può essere fatto senza dispendio e senza danno del dazio e con grande vantaggio per gli altri nostri sudditi e per gli uomini del suddetto territorio.
Umilmente quindi ci chiedevano di concedere loro la facoltà di celebrare le fiere ed il suddetto mercato nei giorni suindicati.
Avendo presa in considerazione la loro richiesta, poiché la fedeltà loro e dei loro predecessori verso di noi e dei nostri predecessori non venne mai meno, dobbiamo gratificare la loro fedeltà e essere loro di aiuto perché nel loro animo ci siano grati per il giudizio su di loro e perseverino nella loro fedeltà, a noi sembrò bene di prendere in considerazione la loro petizione senza alcuna contraddizione per mezzo di sicura informazione e per la nostra piena e assoluta potestà diamo e concediamo ai soprannominati signori consorti De Scarampi il diritto, la facoltà ed il potere di poter fare e celebrare ogni anno nella festa di S. Andrea che è l’ultimo giorno di novembre e nella festa di S. Lorenzo che è il giorno 10 agosto ed in tutti i giorni di Lunedì, Giovedì e Sabato di ogni settimana da ora innanzi ed in perpetuo le fiere ed il mercato come sopra con uno speciale privilegio cioè che vi possano partecipare tutte e le singole persone di ambo i sessi, sia del nostro dominio sia di altri, tranne tuttavia i ribelli, i banditi del nostro regno, i traditori i falsari e coloro che provengono da luoghi sospetti di peste, in ogni tempo con ogni tipo di animale e di mercanzia e specificatamente con drappi, lane, sete, lini e con ogni altro tipo di cose e con beni di ogni genere e specie che esistono e che possono esistere con qualsiasi nome siano chiamati e durante queste fiere e questi mercati, essi in quel territorio possono stare, fermarsi, pernottare, mangiare, vendere, scambiare, unire, distruggere, contrattare, fare e disfare ogni tipo .di contratto e quindi andare e tornare quante volte loro piacerà e ciò sicuramente, liberamente, impunemente e senza qualsiasi impedimento o danno delle cose o della persona, non essendo di impedimento risse, questioni differenze, liti rappresaglie, discordie, cambi e contracambi o altre cause, occasioni o ragioni, anche se fossero tali da dovere essere riferite espressamente e individualmente, poichè vogliamo esserne informati e coscienti espressamente.
Pr l’esecuzione di ciò mandiamo a tutti e ai singoli magistrati, giudici, ufficiali, ai nostri sudditi e a quelli dei nostri feudatari i quali devono e dovranno fare in modo che, per mezzo di pubblici proclami siano rese pubbliche queste fiere ed il suddetto mercato citati nella petizione dei sunnominati signori del consorzio De Scarampi e inoltre spetta loro osservare e far osservare a tutti queste nostre lettere di concessione.
Firmato JACOBUS PHILIPPUS
Dal processo criminali contro donne di Cairo, accusate e confesse d'aver avuto commercio col demonio per propagare il contagio pestilenziale.
1630-1631 – ANNI DELLA PESTE
Le mura sono guardate intorno dai conservatori di sanità, che non lasciano passare chi non è provvisto della bolletta sanitaria; tre "rastreili" sono posti ai confini del territorio e presso di essi si contratta e negozia.
Ma il terribile morbo penetra nelle case, decima le famiglie, semina ovunque la morte.
Pagina dolorosa di questo periodo, fatto di superstizione e di terrore, e il sacrificio di due innocenti donne che, tra le maledizioni del popolo, salirono al rogo.
E riprodotto nella pagina precedente un frammento del processo intentato contro Lucia e Maria Larghero le quali, torturate, affermarono d’aver ballato al Pianazzo con il demonio, e d’aver quindi avuto da lui l’ordine d’andare, con tutta la compagnia delle streghe, a seminare detta polvere al Santuario di N. S. Misericordia ed anche fuori le mura dell’Ospedale vecchio di Savona. "Mentre ci avviavamo, riferì la Lucia, io con la mia zia Zarelin, verso la città di Savona, il diavolo voltò faccia dicendomi di tornare indietro perché non si poteva andare più oltre poiché la Madonna non voleva". E la Maria spiegò che " la Madonna non voleva per essere la città di Savona sua divota".
CAPITOLAZIONE PER LA RESA DEL CASTELLO E LUOGO DI CAIRO
L’anno di nostro Signore 1637 addì 28 di luglio in lunedì alle ore 17 incirca.
Capitolazione da seguire tra l’Ill.mo et Ecc.simo Conte di Verrua generale dell’armata d, S. A. R. di Savoia e Mons. de Castellan M.° di campo, generale dell’ armata di S. M. Cristiana sotto questo Presidio di Cairo con li Sig.ri Offiziali capitani et Gonzales Martino governatori di questo presidio et castello di S. M.
1) Essi Signori capitani promettono all’Ill.mo et Ecc.simo Conte di Verru.-, et Mons. Castellan M.o di carnpo genera;e di S. M. Cristiana sotto questo presidio di Cairo che se per tutto domani che sarà martedì li 29 del corrente luglio a hore ventidue non verrà soccorso, cioè corpo d’armata sufficiente di S. M. C. o altro al servizio di questa piazza, essi Sigg. capitani la venderanno alli suddetti ecc.mi, ai quali Sigg. capitani coi suoi soldati sarà lecito uscire da questa piazza con armi, bagagli tamburi battenti, miccia accesa, balle in bocca, bandiere spiegate per andare con sua gente e bagagli unitamente dove luoro piaccia, quelli Sig.ri Ecc.ssimi si compiaceranno promettere a detti signori capitani di osservare quanto sopra et farli convogliare con scorta di cavalleria o fanteria bisognando sino che arrivino in luogo sicuro dove meglio da detti Ecc.mi et Sigg. Capitani sarà comunemente accordato cioè a causa di strada.
2) Che tutti quei paesani che vorranno sortire dal presente luogo con li suddetti Sigg. Capitani et soldatesca siano accompagnati con luoro donne, figlioli robbe et arme al luogo destinato da detti capitani nell’istessa maniera che si stabilirà con essi.
3) Che ai suddetti paesani particolarmente sia uomini come donne di qualunque stato et grado et condizione tanto a ecclesiastici che a secolari resta salva la vita, la robba et l’onore di abitare nelle loro case liberamente et fare ii fatti suoi, come facevasi di prima con osservarli le sue immunità, privilegi e fra tutte l’altre cose non usarli nessun atto d’ostilità.
4) Che nel giorno suddetto li soldati feriti Alemanni, Italiani, Spagnoli siano convogliati con provvigione et bagagli dove sarà destinato dalli suddetti capitani.
5) Che fino al giorno suddetto della resa della suddetta piazza siano tenuti li suddetti Sigg.ri capitani di rimettere nelle mani di Sua Ecc.za
ostaggi a detta resa che saranno persone di qualità tanto
d’offiziali come di paesani di suddetto luogo.
6) Che durante suddetto termine et capitolazione non sia lecito alla soldatesca di suddetta Ecc.za travagliare, né far fortificazioni di più di quelle ch’ora si trovano, come ne anche a quelli del luogo et soldatesca per questo effetto.
7) Supplicano le luoro eccellenze gli uomini di detta piazza non voler permettere che entri in detto luogo l’armata, ma solamente 11 conveniente presidio con l’ordini e provvisioni opportuni.
Firmato:
Conte di Verrua
Maresciallo Castellan
ARMISTIZIO CONCLUSO A CHERASCO TRA L’ESERCITO PIEMONTESE E L’ESERCITO FRANCESE
1) Tutte le ostilità cesseranno tra l’esercito francese in Italia e l’esercito del Re di Sardegna a datare dal giorno in cui queste condizioni saranno assolte fino a cinque giorni dopo che saranno giunti alla fine i negoziati che si inizieranno per concludere una pace definitiva tra le due potenze .
2) L’esercito francese resterà in possesso di quello che ha conquistato lungo la Stura, da Demonte fino ad Alessandria.
3) La città e la cittadella di Cuneo saranno consegnate nelle mani delle truppe francesi, così come la cittadella e la città di Tortona con l’artiglieria, le munizioni, le vettovaglie che in essa si trovano. Se la città o la cittadella, di Tortona non potrà essere consegnata subito nelle mani dei francesi, questi occuperanno temporaneamente la cittadella di Alessandria.
4) Le truppe francesi potranno passare il Po a Valenza; gli Stati del Re di Sardegna, fino a che le truppe austriache non ne avranno evacuato il territorio, saranno considerati come neutri e sarà accordato il passaggio al le truppe francesi per recarsi in Lombardia, al la fine di attaccare le truppe dell’imperatore nelle posizioni che occuperanno.
5) Sarà accordato il passaggio più breve che sia possibile ai corrieri straordinari e aiutanti di campo che il generale in capo dell’esercito francese crederà bene di mandare a Parigi, tanto per l’andata come per il ritorno.
6) Tutte le truppe, gli ufficiali, gli equipaggi di guerra che si trovano al soldo del Re di Sardegna, che fanno parte dell’esercito austriaco in Italia sono compresi nel detto armistizio. Il Re di Sardegna considererà come ostaggi gli austriaci che ha nelle file del suo esercito.
7) La Cittadella di Ceva dovrà arrendersi alle truppe francesi.
8) Sarà compilato nelle piazzeforti di Cuneo e Tortona, o in quella di Alessandria temporaneamente occupata, nel caso che la piazzaforte di Tortona non possa essere consegnata subito nelle mani francesi, un inventario dettagliato delle armi, delle munizioni e delle vettovaglie di cui la Repubblica Francese dovrà rendere conto al Re di Sardegna, il che equivale restituire l’artiglieria e pagare a prezzo di stima le munizioni e le vettovaglie che potranno essere consumate. Ugual cosa sarà fatta per la fortezza di Ceva.
Compilato al Quartier Generale di Cherasco il 9 fioreale, anno IV della Repubblica Francese (28 aprile 1796).
Firmato:
Latour, Tenente Generale
Costa, Colonnello
Buonaparte, Generale in Capo dell’Esercito Francese
MANIFESTO ELETTORALE DI GIUSEPPE CESARE ABBA
ELETTORI DEL COLLEGIO DI CAIRO MONTENOTTE
Molti amici miei autorevoli e liberali hanno creduto d, poter fare a fidanza coi tempi e con voci proponendomi di accettare la candidatura del nostro collegio. Io posi sotto i loro occhi tutte le difficoltà che si sarebbero trovate per via; essi pur ammettendole si sono fatti forti d’aderenti e di speranze e la candidatura fu da me accettata, perché a sentir mio, se gli onori di rappresentare il popolo non si debbono cercare, offerti non si rifiutano. Quel nucleo d’amici è divenuto partito potente; arrivi all’urna qual è o ingrossato, io sento il dovere di rivelarmi qual sono a chi non mi conosce.
Politicamente io appartenni col pensiero sin dai primi anni a quel partito che ebbe il merito di credere, patire e lavorare per l’unità e per la libertà della patria. Quel partito accumulò il tesoro di fatti, che raccolto poi dal grande Ministro Piemontese fu gettato nel Congresso di Parigi, a, provare che vi era un’Italia, alla cui indipendenza l’Europa doveva pensare.
Concorse così precursore all’opera dell’indipendenza ed io non dubito di attribuirgli la gloria d’essere stato ispiratore e fattore potente dell’unità.
Misconosciuto, avversato per 16 anni; nelle vicende del 1870, quel partito salvò l'Italia da sventure incalcolabili ed oggi la governa arrivato al potere mentre la grandissima delle questioni Europee sta forse per dividerci
in due campi quanti siamo popoli del vecchio continente. I principi politici di quel partito sono arra all’Italia che non saranno dimenticati i doveri che essa ha verso la causa della civiltà e verso se stessa.
Per me, e mi affretto a dirlo, il contegno dell'Italia in quella questione è cosa del più grande momento; perché ne può andare del nostro onore, della nostra maniera d’esistere; n’andrà certo della nostra situazione finanziaria. Alla quale io non assegno il primo posto fra le questioni urgenti, non perché io non creda urgentissima, ma perché l’indole mia mi fa più pensare alle altre d’altra natura, anche certo di questo che lo Stato, fosse pur ricchissimo il popolo, patirà sempre disagio finché il popolo non ha coscienza civile.
Prometterò adunque che io vorrei l’istruzione obbligatoria e gratuita, anche perché i cittadini apprendendo la dignità e il beneficio dello Stato, cessino di stimarlo signoria malevole e spogliatrice. La vorrei perché credo che nessun uomo colto possa onestamente invocare per l’incolto la, libertà di privarsi delle gioie dell’intelletto. Credo che il grido venuto testè dall’Inghilterra: "educhiamo i nostri futuri padroni !" debba persuadere i ricchi che l’istruzione e l’educazione soltanto potranno far scomparire la plebe vera e renderne impossibili le allegre vendette.
Credo che in tempi in cui la fede si affievolisce, sia dovere di tutti lavorare ad accrescere la coscienza, dell’individuo colla maggior dose possibile di sapere. Credo che l’Europa intera abbia il dovere di dare a sé stessa un assetto definitivo per poter poi diminuire i bilanci della guerra a beneficio di quelli dell’istruzione; e come risultato finale credo all’avvenimento dell’arbitrato internazionale e nella pace evangelica dell’umanità.
Vorrei abolita la pena di morte, non foss’altro perché in mezzo a un popolo cattolico che crede nella riabilitazione dell’anima in un’altra vita, parmi che sorga tetra smentita il patibolo, che nega il possibile miglioramento del reo nella vita presente.
Credo che sia cosa giusta l’ampliamento del suffragio politico perché il grande tributo della milizia, che tutti i cittadini son chiamati a pagare, subisce più che ogni altro tributo le influenze della politica del paese. Io non mi preoccupo degli inconvenienti che altri può vedere nell’ampliamento, perché ii popolo italiano (e l’ha dimostrato più d’una volta) possiede in altissimo grado l’istinto della propria conservazione.
Premessi questi punti salienti della mia fede politica, io non mi perito a dire, che nelle questioni amministrative e finanziarie non sono versato quanto basta per parlarne con altrettanta sicurezza, ma io ho sempre vagheggiato l’autonomia amministrativa del Comune, segno storico della virilità nostra civile e l’ombra dell’intricato albero della burocrazia governativa, mi parve sempre che adugi e faccia intristire la bella pianta. E in materia di imposte ho sempre deplorato che uomini insigni, i quali avevano abolito il macinato, liberando le provincie contristate di quella tassa da governi dispotici, l’abbiano poi data riveduta e corretta a tutto il regno. E l’ho deplorato perché mi parve che il ritorno di quell’imposta grossolana, non abbia, certo giovato ad accrescere nelle popolazioni liberate il senso morale della loro liberazione. Oggi qual è l’imposta frutta all’erario una somma ingente; né credo che si possa pensare a sopprimerla prontamente; ma a una cosa si deve subito rimediare ed è l’immoralità che quella induce, divenuta come è mezzo di frode verso il governo e verso i contribuenti.
Così mi pare che di grandi e profonde riforme abbisogni l’imposta sulla ricchezza mobile. Perché l’avere stabilito un minimo imponibile al di sotto del quale, per un centesimo di rendita in meno, uno paga nulla mentre al di sopra per un centesimo in più, un’altro paga quanto gli basta a vivere un mese, mi pare che sia stato un gravissimo errore. Questa legge prima di ogni altra occorrerebbe riformare, affinché cessasse nel popolo il falso concetto in cui fu indotto; quello cioè che il Governo è un Ente .del tutto estraneo alla nazione, un Ente che pensa soltanto a fare i propri interessi e a cui si può nuocere per giusta rappresaglia, colla coscienza di far male a nessuno.
Dell’imposta, fondiaria io non dico altro, che un paese agricolo per natura di suolo e per indole d’abitanti, eppure senza agricoltura per tanta superficie del suo territorio; non dovrebbe per soprassello avere per tanto tempo subito i mali della sperequazione. Scriverà a se stesso una bella pagina quel Governo che rimedierà a questo guaio. E qui io penso con rammarico che nei 16 anni trascorsi, si avrebbe potuto creare forse mezzo milione di piccoli proprietari, coi beni venuti allo Stato dalla soppressione delle corporazioni religiose e che non lo si fece. Quello era il modo più efficace di cominciare a far gl’italiani, appena finito di fare l'Italia. E con rammarico ancora più grande, penso che pur inceppando l’esercizio di tante parti di pubblica libertà si sia abusato poi delle teorie liberali dei popoli adulti, per giustificare la tolleranza usata all’emigrazione agricola ed operaia,. Lo Stato avrebbe potuto con benevolenza dirigerla, consigliarla
darle sede in Italia. L’unità morale n’avrebbe guadagnato, l’agricoltura si sarebbe sviluppata e l’erario arricchito. Oggi quella fortuna d’Italia è forse perduta. Ma sarà abbastanza benemerito quel governo, che attendendo alla perequazione, riuscirà anche a sottoporre all’imposta le centinaia di migliaia d’ettari di terreno fruttifero e non ancora censito, specie nelle provincie nostre del mezzogiorno.
A me Italiano stanno nella mente e nel cuore le cose che ho dette, ed ho fede che in Italia vi ha patriottismo e ingegno da fare che la] nostra patria sia fra vent’anni potente e felice. Uomo poi nato e vissuto nel vostro collegio, vorrei che l'Italia intera godesse di quei beni di cui godiamo noi, in queste povere terre delle alte Langhe, così note per antica sterilità ed ingratitudine ai lavori dell’uomo. Qui pace, in ossequio alle leggi, qui animo pronto al compimento di tutti i doveri di cittadino; gli odi tra le classi sociali ignoti, delitti quasi nessuno.
Chi sa che questo modo di essere non trovi le sue cagioni nel regime agricolo pratico guida tempi immemorabili? e se la mezzadria pratica da noi, la fosse pure un qualche giorno con le necessarie modificazioni in tutta l'Italia? Una legge futura che prescrivesse più uno che un altro regime al la agricoltura , sarebbe per avventura un attentato al la libertà del la proprietà ? Io interrogo così alla buona come alla buona vi dissi l’animo mio.
Qualunque sia il numero dei suffragi che onoreranno il mio nome, io rimarrò lieto e sicuro di me. Mi inchinerò all’urna qualunque sia il responso e il giudizio che farà di me e delle intenzioni mie. Intanto abbiatevi per cosa certa che io non mi difenderò mai dalle sadiche accuse di giacobinismo che ml si fanno e per cosa anche più certa che non porrò mai in disparte la modestia, l’istinto mio disprezzatore della fortuna e l’amore al popolo da cui nacqui e col quale voglio vivere e morire.
Cairo Montenotte, 21 ottobre 1876.
Giuseppe Cesare Abba
Sulla proposizione del Nostro Ministro dell'Interno
Vista la deliberazione del Comune di Cairo in Provincia di Savona
Abbiamo decretato e decretiamo:
È autorizzato il Comune di Cairo ad assumere la denominazione di Cairo Montenotte giusta la deliberazione di quel Consiglio Comunale in data 5 novembre 1868.
Ordiniamo che il presente Decreto, munito del Sigillo dello Stato, sia inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandano chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato in Torino addì 8 aprile 1869.
Firmato: Vittorio Emanuele
Contrassegnato: ???
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (Anno 82, Numero 224)
Roma – Lunedì, 22 settembre 1941
DECRETO DEL CAPO DEL GOVERNO – 25 AGOSTO 1941
Riconoscimento della notevole importanza industriale del Comune di Cairo Montenotte in prov. di Savona
Il Capo del Governo, Ministro per l'Interno
Veduta la proposta del prefetto di Savona che il Comune di Cairo Montenotte la cui popolazione è inferiore ai 25.000 abitanti, sia riconosciuto di notevole importanza industriale, ai sensi e per gli effetti di cui all'Art.1 della legge 6 luglio 1939, n°1092, recante provvedimenti contro l'urbanismo.
Ritenuto che l'istruttoria disposta ha ... la fondatezza di tale proposta, confermando sia la notevole attrezzatura industriale del Comune suddetto, ora l'entità del flusso emigratorio che vi si verifica e che non vi può trovare adeguato collocamento:
Su conforme avviso espresso dal Ministero delle corporazioni, Direzione generale dell'industria;
Veduto l'art. della legge 6 luglio 1939, n° 1092;
DECRETA
Il Comune di Cairo Montenotte in prov. di Savona è riconosciuto di notevole importanza industriale, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1 della legge 6 luglio 1939, n° 1092.
Il prefetto e il podestà interessati sono incaricati della esecuzione del presente decreto, che sarà pubblciato nella Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore 15 giorni dopo la sua pubblicazione.
Roma, addì 25 agosto 1941
Il Presidente della Repubblica
Vista la domanda con la quale il Sindaco del Comune di Cairo Montenotte chiede la concessione del titolo di Città a favore di quel Comune;
Visti gli atti prodotti a corredo;
Visto l'art. 32 dell'Ordinamento approvato con R.D. 7 giugno 1943 n.65;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri:
Decreta:
È concesso al Comune di Cairo Montenotte, in provincia di Savona, il titolo di Città.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri è incaricato della esecuzione del presente Decreto, che sarà registrato alla Corte dei Conti e debitamente trascritto.
Dato a Roma, addì 7 gennaio 1956
Firmato: Gronchi
Controfirmato: Segni
Registrato alla Corte dei Conti, addì 6 aprile 1956 (Firmato: Tempesta)
Registrato nel Registro Araldico dell'Archivio Centrale dello Stato, addì 4 maggio 1956 (Firmato: per il Soprintendente S.Carbone)
Trascritto nei registri dell'Ufficio Araldico oggi 4 agosto 1956 (Firmato: il Dirigente dell'Ufficio Araldico, O.Bertolini)