Giuseppe Cesare Abba

Sulle rive della Bormida nel 1794

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Edizione 1888 (pubblicata nelle appendici de "La provincia di Brescia")


Capitolo 1
Tre ciuffi di case, in una stretta di Val di Bormida, formano il borgo di Dego; uno piantato su d’un colle, gli altri adagiati sulle due rive del fiume, di maniera che quello della sinistra ha metà delle case con le fondamenta nell’acque. Passano queste e le rispecchiano malinconiche; passa chi va per le sue faccende e non bada; ma chi ha senso delle cose vive e delle morte, coglie il paesaggio nella sua dolce quiete...

Capitolo 2
Marta soltanto, se fosse stata vicina a Giuliano, non gli avrebbe avuto rispetto. Offesa, stizzita, afflitta per le cose udite da lui, a quell’ora dava volta nel proprio letto, con la mente piena d’Alemanni, col cuore travagliato dalla paura del pievano, il quale aveva predicato e fatto predicare dal cappuccino del quaresimale che...

Capitolo 3
Sotto quel cielo, a pié di quel castello, viveva quella Bianca che la signora Maddalena andava a cercare. Essa era una giovinetta in sui diciotto, bellissima e mesta; e, forse perché mesta, Giuliano se n’era innamorato. Vicina a lei si vedeva sempre una sua sorella, più giovane di qualche anno, tutt’altra bellezza, che si chiamava Margherita. S’amavano, ma non osavano dirselo...

Capitolo 4
Mentre la signora Maddalena partiva da Cairo, le cose tra Giuliano e don Apollinare si facevano a Dego molto buie. Questi, certo che Marta avrebbe mandato da lui il giovane, l’aveva atteso invano parecchie ore.

Capitolo 5
La sera di quel giorno, a notte chiusa, Rocco ritornò menando a mano la giumenta del giovane, e smontò alla porta della signora, che volle dargli la cena con sé, e gli fece raccontare dell’andata e dei discorsi che, come egli disse, erano stati corti e mesti.

Capitolo 6
Tornato alla villa, il signor Fedele cominciò dall’assalire Bianca coi ragionamenti, e, trovandola sempre uguale, la condannò a starsi tutto il giorno in una stanza appartata. Guai alla zia e alla sorella se avessero tentato parlarle.

Capitolo 7
La cascinaia del signor Fedele, sin da quel mattino che origliando aveva sentito le querele di Bianca, s’era messa in testa di correre al convento per dire ogni cosa al suo confessore. A quei tempi s’usava molto confidare nel confessore i propri peccati e le faccende altrui.

Capitolo 8
Ma don Apollinare si trovava a certi passi, che non era il caso di poter pensare né al padre Anacleto, né a Giuliano. I monti sui quali lo abbiamo lasciato colle turbe di Val di Bormida, in capo a quattro o cinque giorni, formicavano, come vi si fosse raccolto un esercito di barbari, pronti a calare dove loro fosse venuta bene la preda, per portarsela a quelle sedi alpestri e selvose.

Capitolo 9
Sul pensiero che don Apollinare non aveva peranco smesso il rancore rimastogli contro Giuliano, nacque nella mente della signora Maddalena quest’altro, che don Marco, non essendosi più fatto vivo, avesse dimenticato lei, il suo figliuolo e il caso doloroso di quell’amore, in cui la sventura avea posta la mano.

Capitolo 10
In capo a quindici giorni, il signor Fedele s’era fatta una cera di trionfo. Non vedeva più che Bianca, la portava in palmo di mano, era il suo occhio destro. Damigella Maria e Margherita, parevano la istoria dell’olmo e della vite, e stavano sole la meglio parte del giorno, scansando con ogni cura il padre Anacleto.

Capitolo 11
Se il padre Anacleto avesse dato un’occhiata alla via che di là della Bormida, sotto i vecchi castagni, menava a Dego, avrebbe visto don Marco, avviato a quella volta. Uscito dalla palazzina che gli pareva di non capir più nulla, questi era andato alla ventura; ma poi, ripigliati i pensieri, aveva deliberato d’andar a Dego per dire apertamente ogni cosa alla signora Maddalena.

Capitolo 12
L’indomani, un po’ dopo l’alba, don Apollinare stava sotto il portichetto della chiesa, con parecchie divote che avevano sentito la messa; lo speziale apriva la bottega, e, uscito a vedere che tempo facesse, si mescolava al crocchio: un uomo attempatetto, che era il cerusico, montato su d’un cavalluccio, si fermava a barattar con essi qualche parola, sul fatto della sera innanzi: parevano l’ultima nuvola d’un temporale notturno, risolto da un vento benefico, in un mattino quieto.

Capitolo 13
Sul vespro di quel giorno, mentre Giuliano, cavalcando già vicino a Dego, scopriva tra il verde del castello il campanile che pare a un amico, appiattato per dar voce del suo ritorno, sul piazzale di casa sua sedevano alcune donne del vicinato, a rammendare camicie, a filare, a fare qualcosa, ascoltando i racconti di Marta. Essa pigliate le mosse dai molti Alemanni giunti di quei giorni, parlava delle guerre degli Spagnuoli, venuti sul principio di quel secolo, pochi anni prima che essa nascesse, a devastare le valli della Bormida, dove erano passati come la maledizione di Dio.

Capitolo 14
Se in casa alla signora Maddalena s’era vegliato in quella notte al tardi, a Cairo, dal signor Fedele, non tutti avevano dormito: e l’alba trovava il padre di Bianca affaccendato, come un maggiordomo di famiglia doviziosa, che abbia corte bandita.

Capitolo 15
Difatti a Dego, in casa della signora Maddalena, la giornata era stata mesta, come quello squillo di campana che la chiudeva. Giuliano, avendo le membra tronche dal gran cavalcare, non s’era potuto togliere il sonno di dosso, sino a mezzodì; e destatosi aveva covato il letto a guisa di persona che mediti la morte.

Capitolo 16
Quello, in cui a Cairo si ballava, era un palazzo dei vecchi feudatari, sorge a piè della roccia, dalla cui vetta il castello in rovina pare lo guardi imbroncito, quasi chiedendo se sia cosa giusta, ch’egli debba stare lassù a disfarsi alla pioggia e al gelo, mentre il palazzo sta ritto qual era nell’età fiera, in cui di ribalderie fatte dai loro padroni ne videro entrambi d’ogni colore.

Capitolo 17
Giuliano, detto addio a Rocco, s’era trovato solo dove niuno faceva guardia al rigagnolo che divideva le terre del re di Sardegna, da quelle della repubblica Genovese. Non gli rimanevano a fare che pochi passi, e poi, avesse avuto dietro di sé tutta la cavalleria ungherese, egli sarebbe potuto volgere dall’altra sponda a riderle in faccia, sicuro come fosse stato a Genova in casa al Doge.

Capitolo 18
Quel gran pregare Giuliano di starsi lungi, fatto dalla signora Maddalena, nelle due lettere che gli aveva mandate, non veniva soltanto dai pericoli che egli poteva correre per via degli Alemanni, ma ancora da cosa che essa non gli avrebbe menzionata per nulla al mondo.

Capitolo 19
Lo sposo di Bianca, partito cruccioso sul suo cavallo, aveva pigliato la via, che sulla cresta dei monti, a ridosso del castello, menava a Montenotte e che si vede anche ai dì nostri, angusta, piana e ombrata di bei castagni.

Capitolo 20
Il padre Anacleto era parso assai disumano ad Anselmo; ma; nei suoi panni, ben pochi avrebbero avuto il capo alle opere di misericordia. Quel mattino egli aveva appena finito di cingersi il cordone, e già il laico portinaio gli aveva battuto all’uscio della cella, dicendo che il signor Fedele lo voleva giù sul piazzale.

Capitolo 21
Al primo romper dell’alba, Giuliano e don Marco erano già sul ponte, non essendovi stato verso per il giovane di persuadere il prete a rimanersi dal seguire lui e i Francesi. Quello era il primo giorno d’autunno. Una nebbia densa occupava l’aria, e la Bormida faceva quei fumacchi, che ai fanciulli paiono d’acque scaldate di sotto dal demonio.

Capitolo 22
Marta, da noi lasciata sbalordita nell’atrio, non ebbe bisogno di farsi dire chi fosse la giovine donna, gittatasi ai piedi del signorino. Essa l’indovinò alle parole di lei, all’atto di Giuliano; e, lanciatasi nel piazzale coi pugni stretti, le si sfogò contro con voglia crudele.

Commiato
Queste cose io le ebbi da un vecchio ottuagenario, morto da parecchi anni, il quale me le dava stando al fuoco colle molle in mano. Egli mi diceva che erano tutte vere verissime...