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L'organizzazione pievana in alta Val Bormida dal X al XVII secolo
di Leonello Oliveri
Scopo di questo breve articolo è delineare in modo sintetico
la struttura dell'organizzazione ecclesiastica, per quanto concerne le
pievi, del territorio dell'alta Val Bormida, oggi diviso amministrativamente
fra le province di Savona, Alessandria e Cuneo ed ecclesiasticamente fra
le diocesi di Savona, Mondovì e Acqui.
Il lavoro esaminerà la struttura pievana della zona fra il X
e il XVII secolo quale si può ricostruire dai seguenti documenti:
a) le donazioni ottoniane del 998, 999, 1014;
b) il Registrum ecclesiae et episcopatus Albensis del 1335, pubblicato
da don Conterno nel 1979;
c) il cosiddetto "manoscritto Zuccarello" del 1530, pubblicato da don
M. Scarrone nel 1970;
d) le Constitutiones sinodales del secondo sinodo albense (monsignor
F.P. Brizio), del 1649.
Tutta la predetta documentazione verrà presentata limitatamente
alla parte interessante il territorio dell'alta Val Bormida oggetto del
presente studio.
Il dato generale che emerge dall'esame dei documenti utilizzati è
quello di una incertezza oscillante e ambivalente nell'evolversi storico
dell'organizzazione di questo territorio, oggi come nel passato in bilico,
anche in modo lacerante, fra i diversi e talora opposti interessi di costa
ed entroterra, Liguria e Piemonte.
E così vediamo, nel passato, non solo la presenza contemporanea,
nella zona, di almeno tre diocesi (Vado-Savona, Alba, Acqui), ma anche
il passaggio di uno stesso centro da una diocesi all'altra.
Se dall'organizzazione ecclesiastica passiamo a quella amministrativo-statale,
la situazione non cambia, dall'epoca preromana, quando i Ligures Montani
della Val Bormida erano in lotta con gli Alpini di Savo, a quella attuale,
con il territorio spartito fra due regioni e tre province, passando attraverso
il periodo romano (due municipia, quello costiero di Vada Sabatia e quello
"mediterraneo" di Alba, con la presenza, forse, anche di quello di Albingaunum)1,
il VI secolo (col limes che dal 569 al 643 difese la costa bizantina dal
retroterra longobardo)2 e tutto il medioevo3 fino al XVII secolo, con l'alta
Val Bormida crocevia di confini fra stati diversi (Repubblica di Genova,
Spagna, Ducato sabaudo, Monferrato, Feudi imperiali, eccetera). Forse l'unico
periodo in cui questo piccolo territorio ebbe una unità politico-amministrativa,
di intenti oltreché di confini, fu rappresentato dai pochi anni
compresi fra la spartizione della eredità del marchese Bonifacio
del Vasto (dopo il 1125) e di quella di Ottone ed Enrico II, figli di Enrico
il Guercio (1214). Neppure 100 anni, gli unici in cui l'alta Val Bormida
riuscì a essere unita, per l'unica volta nella sua storia bimillenaria
fino al XIX secolo.
Passiamo ora all'esame della documentazione.
Le donazioni ottoniane del 998, 999, 1014
Si tratta di quattro atti con i quali gli imperatori Ottone II ed Enrico
II confermano ai vescovi di Savona, Bernardo, Giovanni e Ardemanno, alcune
pievi e località situate in Val Bormida, da Millesimo a Cortemilia.
Più in particolare i documenti riportano quanto segue:
anno 998, 27 maggio: "(...) ob interventum Bernardi, venerabilis episcopi
sanctae Saonensis ecclesiae (...) plebem que dicitur sancti Petri de Meleseno
cum capellis et decimationibus et terris et plebem Sancti Iohannis de Cario
cum capella Sancti Donati et terris et vineis et cortem que dicitur Valla
cum servis et ancillis et ecclesiam Sancti Eugeni ubi eius corpus humatum
requiescit et cortem de Casale Grasso et Crementam et Aqua Marciam cum
servis et ancillis, terram que est iusta Carium in Villa que dicitur Cassina
et in Sale cum terra aratoria cum vineis et molendinis et decimationem
de opido quod dicitur Vineariolum et decimam de Cruce Ferrea et de Cinglo
et de Vineale et decimam de Cario et de Buzile et decimam de Monasile et
de Ponciano et plebem sancte Marie de Gudega cun decimationibus de Cameriana
et Saleceto seu Gauta Sicca et plebem de Langa et plebem de Curtemilia
usque intermedios fines episcopatus Saonensis et Albensis (...) corroboramus";
anno 999, 4 gennaio: "(...) confirmamus episcopatui Saonensi ecclesiam
Sancte Marie in Plebe Gudega constructa (...)";
anno 999, 8 settembre: "(...) Lacum Rotundum, Cardeto, Manduculo, de
Callo, Cario, Casale Grasso, Cremenna, Aqua Martia et terram de Ponte quantam
ad Sanctum Eugenium pertinet, montem Burro, Valla, in Aste curticella una,
plebem Sancti Donati, plebem Melesine, plebem Sancte Marie in Gudega et
plebem Monatcile, Sale, Monte Barcario, Corgenio, Leo[se]se, Runito, Lavaniola
que dicitur Gaura Sicca, Salecito, Camariana, Sancte Iulie, Viniale, Cingio,
Cruce Ferrie, Boyle, Cario, Deco, Salsole, Plana et Bruvio Iohanni episcopo
et suis successoribus confirmamus (...)";
anno 1014, (25 aprile/6 giugno?); "(...) Lacum Rotundum, Cardeto, Manduculo,
de Callo, Cario, Casale Grasso, Cremena, Aqua Marcia et terra de Ponte
quantam ad Sanctum Eugenium pertinet, Monte Burro, Valla, in Aste curticella
una, plebem Sancti Donati, plebem Melosine, plebem Sancte Marie in Gudega
et plebem Monatcile, Sale, Monte Barcario, Corgenio, Leosese, Runito, Lavaniola
que dicitur Gaura Sicca, Saliceto, Camariana, Sancte Iulie, Viniale, Cinglo,
Cruce Ferrie, Boyle, Cario, Deco, Salsole, Plana et Bruvio (...) Ardemanno,
Saonensi episcopo et suis successoribus confimamus4.
Tralasciando ovviamente, in questa sede, tutta la parte concernente
la presentazione, la critica , l'esegesi e l'interpretazione dei documenti,5
ci limitiamo a ricordare che se essi permettono localizzazione di sei pievi,6
fanno sorgere anche due grossi problemi.
Innanzitutto si tratta di una semplice investitura feudale concessa
al vescovo7 o di vera e propria giurisdizione ecclesiastica attribuita
alla diocesi di Savona? In quest'ultimo caso tali beni entravano a far
parte – almeno in quella data – della diocesi savonese, che si sarebbe
quindi spinta notevolmente nell'entroterra, arrivando fino a Cortemilia
e trvalicando i confini del municipium romano di Vada Sabatia.8
(continua)